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La Legge divina è quella emanata da Dio e resa nota all’uomo attraverso la rivelazione. Noi distinguiamo tra l’Antica Legge, contenuta nel Pentateuco, e la Nuova Legge, che è stata rivelata da Gesù Cristo ed è contenuta nel Nuovo Testamento. La legge divina dell’Antico Testamento, o legge mosaica, è comunemente divisa in precetti civili, cerimoniali e morali. La legislazione civile regolava le relazioni del popolo di Dio tra di loro e con i loro vicini; il cerimoniale regolava le questioni di religione e il culto di Dio; la morale era un codice divino di etica. In questo articolo limiteremo la nostra attenzione esclusivamente ai precetti morali della legge divina. Nell’Antico Testamento essa è contenuta per la maggior parte e riassunta nel Decalogo (Esodo 20:2-17; Levitico 19:3, 11-18; Deuteronomio 5:1-33).
L’Antico e il Nuovo Testamento, Cristo e i Suoi Apostoli, la tradizione ebraica come quella cristiana, concordano nell’affermare che Mosè ha scritto la Legge per diretta ispirazione di Dio. Dio stesso, dunque, è il legislatore, Mosè agì semplicemente come intermediario tra Dio e il suo popolo; egli si limitò a promulgare la Legge che era stato ispirato a scrivere. Questo non equivale a dire che tutta l’Antica Legge fu rivelata a Mosè. Ci sono abbondanti prove nella Scrittura stessa che molte parti della legislazione mosaica esistevano e furono messe in pratica molto prima del tempo di Mosè. La circoncisione ne è un esempio. L’osservanza religiosa del settimo giorno è un altro, e questo sembra essere implicito nella forma stessa in cui è formulato il terzo comandamento: “Ricordati di santificare il giorno di sabato”. Se si eccettuano le determinazioni meramente positive del tempo e del modo in cui il culto religioso doveva essere reso a Dio secondo questo comandamento, e la proibizione di fare immagini per rappresentare Dio contenuta nel primo comandamento, tutti i precetti del Decalogo sono anche precetti della legge naturale, che possono essere raccolti dalla ragione dalla natura stessa, e infatti erano conosciuti molto prima che Mosè li scrivesse per espresso comando di Dio. Questo è l’insegnamento di San Paolo – “Infatti, quando i gentili, che non hanno la legge, fanno per natura le cose della legge, questi, non avendo la legge, sono una legge per se stessi; essi mostrano l’opera della legge scritta nei loro cuori, la loro coscienza ne rende testimonianza” (Romani 2:14, 15). Sebbene la sostanza del Decalogo sia quindi sia di legge naturale che divina, tuttavia la sua esplicita promulgazione da parte di Mosè su comando di Dio non era priva di vantaggi. Il grande codice morale, la base di tutta la vera civiltà, divenne in questo modo lo standard chiaro, certo e pubblicamente riconosciuto di condotta morale per il popolo ebraico, e attraverso di esso per la cristianità.
Perché il codice di moralità che abbiamo nell’Antico Testamento fu ispirato da Dio e imposto da Lui al Suo popolo, ne segue che non c’è nulla in esso che sia immorale o sbagliato. Era certamente imperfetto, se lo si confronta con la morale superiore del Vangelo, ma, nonostante tutto, non conteneva nulla di biasimevole. Era adatta al basso livello di civiltà a cui gli israeliti avevano allora raggiunto; le severe punizioni che prescriveva per i trasgressori erano necessarie per piegare il collo rigido di un popolo rude; i premi temporali offerti a coloro che osservavano la legge erano adatti a una razza non spirituale e carnale. Tuttavia le sue imperfezioni non devono essere esagerate. Nel suo trattamento dei poveri, dei forestieri, degli schiavi e dei nemici, era di gran lunga superiore al Codice di Hammurabi, civilmente più avanzato, e ad altri famosi codici di diritto antico. Non mirava soltanto a regolare gli atti esteriori del popolo di Dio, ma frenava anche i pensieri licenziosi e i desideri bramosi. L’amore di Dio e del prossimo era il grande precetto della Legge, il suo riassunto e compendio, quello da cui dipendeva tutta la Legge e i Profeti. Nonostante l’innegabile superiorità in questo senso della Legge mosaica rispetto agli altri codici dell’antichità, essa non è sfuggita alle critiche avverse degli eretici di tutte le epoche e dei razionalisti dei nostri giorni. Per rispondere a queste critiche avverse sarà sufficiente indicare alcuni principi generali che non devono essere persi di vista, e poi trattare alcuni punti in modo più dettagliato.
È sempre stato liberamente ammesso dai cristiani che la legge mosaica è un’istituzione imperfetta; tuttavia Cristo è venuto non per distruggerla ma per compierla e perfezionarla. Dobbiamo tenere a mente che Dio, il Creatore e Signore di tutte le cose, e il Giudice Supremo del mondo, può fare e comandare cose che l’uomo creatura non è autorizzato a fare o comandare. Su questo principio possiamo spiegare e difendere il comando dato da Dio di sterminare certe nazioni, e il permesso dato da Lui agli Israeliti di rovinare gli Egiziani. Le tribù di Chanaan meritavano ampiamente la sorte a cui erano state condannate da Dio; e se tra i colpevoli c’erano degli innocenti, Dio è il Signore assoluto della vita e della morte, e non commette ingiustizia quando toglie ciò che ha dato. Inoltre, Egli può compensare con doni di ordine superiore in un’altra vita le sofferenze che sono state pazientemente sopportate in questa vita. Una grande mancanza di prospettiva storica è dimostrata da quei critici che giudicano la legge mosaica secondo i canoni umanitari e sentimentali del ventesimo secolo. Uno scrittore recente (Keane, “The Moral Argument against the Inspiration of the Old Testament” in the Hibbert Journal, October, 1905, p. 155) si professa molto scioccato da ciò che è prescritto in Esodo 21:5-6. Lì è stabilito che se un uomo è stato condannato a morte, non può essere condannato. Lì si stabilisce che se uno schiavo ebreo, che ha moglie e figli, preferisce rimanere con il suo padrone piuttosto che uscire libero quando arriva l’anno sabbatico, deve essere portato al palo della porta e gli si deve trapanare l’orecchio con un punteruolo, e poi deve rimanere schiavo a vita. Era un segno e un marchio con cui si sapeva che era uno schiavo a vita. La pratica era senza dubbio già familiare agli israeliti del tempo, come lo era ai loro vicini. Lo schiavo stesso probabilmente non pensava all’operazione più di quanto non faccia una bellezza sudafricana, quando le viene trafitto il labbro o l’orecchio per l’anello al labbro e l’anello all’orecchio, che nella sua stima devono aggiungere al suo fascino. E’ davvero troppo quando un professore serio fa di una tale prescrizione il terreno per una grave accusa di disumanità contro la legge di Mosè. Né l’istituzione della schiavitù dovrebbe essere fatta un motivo di attacco contro la legislazione mosaica. Essa esisteva dappertutto e sebbene nella pratica sia suscettibile di condurre a molti abusi, tuttavia, nella forma mite in cui era permessa tra gli Ebrei, e con le garanzie prescritte dalla Legge, non si può dire con verità che sia contraria alla sana moralità.
La poligamia e il divorzio, sebbene meno insistiti dai critici razionalisti, costituiscono in realtà una difficoltà più seria contro la santità della Legge mosaica di tutte quelle che sono state appena menzionate. Si tratta di una difficoltà che ha impegnato l’attenzione dei Padri e dei teologi della Chiesa fin dall’inizio. Per rispondervi, essi prendono posizione sull’insegnamento del Maestro nel diciannovesimo capitolo di San Matteo e nei passi paralleli della Sacra Scrittura. Ciò che è detto lì del divorzio è applicabile alla pluralità delle mogli. La severa legge del matrimonio fu resa nota ai nostri primi genitori in Paradiso: “Saranno due in una sola carne” (Genesi 2:24). Quando il testo sacro dice due esclude la poligamia, quando dice una sola carne esclude il divorzio. In mezzo al generale lassismo riguardo al matrimonio che esisteva tra le tribù semitiche, sarebbe stato difficile conservare la legge rigorosa. L’importanza di un rapido aumento tra il popolo eletto da Dio, in modo da renderlo capace di difendersi dai suoi vicini e di compiere il suo destino designato, sembrava favorire un rilassamento. L’esempio di alcuni dei capi degli antichi patriarchi fu preso dai loro discendenti come un’indicazione sufficiente della dispensa concessa da Dio. Con speciali garanzie annesse, Mosè adottò la dispensa divina a causa della durezza di cuore del popolo ebraico. Né la poligamia né il divorzio possono essere detti contrari ai precetti primari della natura. Il fine primario del matrimonio è compatibile con entrambi. Ma almeno sono contro i precetti secondari della legge naturale: contrari, cioè, a ciò che è richiesto per il buon ordinamento della vita umana. In questi precetti secondari, però, Dio può dispensare per una buona ragione, se lo ritiene opportuno. Così facendo si serve della sua autorità sovrana per diminuire il diritto di assoluta uguaglianza che esiste naturalmente tra l’uomo e la donna in riferimento al matrimonio. In questo modo, senza subire alcuna macchia sulla Sua santità, Dio poteva permettere e sanzionare la poligamia e il divorzio nella Vecchia Legge.
Cristo è l’autore della Nuova Legge. Egli ha rivendicato ed esercitato la suprema autorità legislativa in materia spirituale dall’inizio della Sua vita pubblica fino alla Sua ascensione al cielo. In Lui l’Antica Legge ebbe il suo compimento e raggiunse il suo scopo principale. La legislazione civile di Mosè aveva per oggetto di formare e preservare un popolo particolare per l’adorazione dell’unico vero Dio, e di preparare la via per la venuta del Messia che doveva nascere dalla stirpe di Abramo. Il nuovo Regno di Dio che Cristo fondò non era limitato a una sola nazione, ma abbracciava tutte le nazioni della terra, e quando il nuovo Israele fu costituito, il vecchio Israele con la sua legge separatista divenne antiquato; aveva compiuto la sua missione. Le leggi cerimoniali di Mosè erano tipi e figure del sacrificio e dei sacramenti più puri, più spirituali e più efficaci della Nuova Legge, e quando queste furono istituite, le prime persero il loro significato e valore. Con la morte di Cristo sulla croce, la Nuova Alleanza fu sigillata e l’Antica fu abrogata, ma finché il Vangelo non fosse stato predicato e debitamente promulgato, per deferenza verso i pregiudizi ebraici e per rispetto delle ordinanze, che dopo tutto erano divine, coloro che volevano farlo erano liberi di conformarsi alle pratiche della Legge Mosaica. Quando il Vangelo fu debitamente promulgato, i precetti civili e cerimoniali della legge di Mosè divennero non solo inutili, ma falsi e superstiziosi, e quindi proibiti.
Non fu così per i precetti morali della legge mosaica. Il Maestro insegnò espressamente che l’osservanza di questi, in quanto prescritti dalla natura stessa, è necessaria per la salvezza – “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”, – quei noti precetti del Decalogo. Di questi comandamenti queste parole sono particolarmente vere – “Non sono venuto a distruggere la legge, ma a darle compimento”. Questo Cristo lo fece insistendo di nuovo sulla grande legge della carità verso Dio e verso gli uomini, che spiegò più pienamente e ci diede nuovi motivi per praticarla. Ha corretto le false glosse con cui gli Scribi e i Farisei avevano oscurato la legge come rivelata da Dio, e ha spazzato via il cumulo di osservanze meschine con cui l’avevano sovraccaricata, rendendola un peso intollerabile. Denunciò senza mezzi termini l’esteriorismo dell’osservanza farisaica della legge, e insistette che lo spirito della legge fosse osservato così come la lettera. Come si addiceva a una legge d’amore che sostituiva la legge mosaica della paura, Cristo voleva attirare gli uomini a obbedire ai suoi precetti per motivi di carità e di obbedienza filiale, piuttosto che costringere alla sottomissione con minacce di punizioni. Egli promise benedizioni spirituali piuttosto che temporali e insegnò ai suoi seguaci a disprezzare i beni di questo mondo per fissare i loro affetti sulle future gioie della vita eterna. Non si accontentò di una semplice osservanza della legge, ma propose audacemente ai suoi discepoli l’infinita bontà e santità di Dio come loro modello, e li esortò a essere perfetti come è perfetto il loro Padre celeste. Per coloro che erano stati chiamati in modo speciale e che non si accontentavano di osservare soltanto i comandamenti, Egli propose consigli di consumata perfezione. Osservando questi, i suoi seguaci specialmente scelti, non solo vincevano i loro vizi, ma ne distruggevano le radici, negando costantemente le loro propensioni naturali agli onori, alle ricchezze e ai piaceri terreni. Tuttavia è ammesso dai teologi cattolici che Cristo non ha aggiunto nuovi precetti puramente morali alla legge naturale. C’è naturalmente un obbligo morale di credere alle verità che il Maestro ha rivelato riguardo a Dio, al destino dell’uomo e alla Chiesa. Obblighi morali sorgono anche dall’istituzione dei sacramenti, alcuni dei quali sono necessari alla salvezza. Ma anche qui nulla si aggiunge direttamente alla legge naturale; data la rivelazione della verità da parte di Dio, l’obbligo di crederla segue naturalmente per tutti coloro ai quali la rivelazione viene fatta conoscere; e data l’istituzione dei mezzi necessari di grazia e di salvezza, l’obbligo di usarli segue anche necessariamente.
Come abbiamo visto sopra, il Maestro abrogò le dispense che rendevano la poligamia e il divorzio leciti per gli ebrei a causa delle circostanze speciali in cui essi erano posti. In questo senso la legge naturale fu riportata alla sua integrità primitiva. Allo stesso modo, per quanto riguarda l’amore dei nemici, Cristo spiegò chiaramente la legge naturale della carità su questo punto, e la esortò contro l’interpretazione perversa dei farisei. La legge di Mosè aveva espressamente ingiunto l’amore per gli amici e i concittadini. Ma allo stesso tempo proibiva agli ebrei di fare trattati con gli stranieri, di concludere la pace con gli Ammoniti, i Moabiti e altre tribù vicine; l’ebreo era autorizzato a praticare l’usura nei rapporti con gli stranieri; Dio promise che sarebbe stato nemico dei nemici del suo popolo. Da queste e simili disposizioni i dottori ebrei sembrano aver tratto la conclusione che fosse lecito odiare i propri nemici. Anche Sant’Agostino, così come alcuni altri Padri e Dottori della Chiesa, pensavano che l’odio dei nemici, come la poligamia e il divorzio, fosse permesso agli ebrei a causa della loro durezza di cuore. È chiaro, tuttavia, che, poiché i nemici condividono con noi la stessa natura e sono figli dello stesso Padre comune, non possono essere esclusi dall’amore che, per legge di natura, dobbiamo a tutti gli uomini. Questo obbligo Cristo non meno chiaramente che splendidamente esposto, e ci ha insegnato a praticarlo con il suo stesso nobile esempio. La Chiesa cattolica, in virtù dell’incarico datole da Cristo, è l’interprete divinamente costituito della legge divina sia del Vecchio che del Nuovo Testamento.
Fonti
ST. THOMAS, Summa theologica (Parma, 1852); SUAREZ, De Legibus (Parigi, 1856); PESCH, Prælectiones dogmaticæ, V (Freiburg, 1900); KNABENBAUER, Commentarius in Evangelia (Parigi, 1892); GIGOT, Biblical Lectures (New York, 1901); PALMIERI, De Matrimonio (Roma, 1880); PELT, Histoire de l’ancien Testament (Parigi, 1901); VON HUMMELAUER, Commentarius in Exodum, Leviticum, Deuteronomium (Parigi, 1897, 1901); VIGOUROUX, Dict. de la Bible (Paris, 1908); HASTINGS, Dict. of the Bible (Edinburgh, 1904).
A proposito di questa pagina
Citazione APA. Slater, T. (1910). Aspetto morale della legge divina. In L’enciclopedia cattolica. New York: Robert Appleton Company. http://www.newadvent.org/cathen/09071a.htm
Citazione MLA. Slater, Thomas. “Aspetto morale della legge divina”. L’enciclopedia cattolica. Vol. 9. New York: Robert Appleton Company, 1910. <http://www.newadvent.org/cathen/09071a.htm>.
Transcription. Questo articolo è stato trascritto per il Nuovo Avvento da Douglas J. Potter. Dedicato al Sacro Cuore di Gesù Cristo.
Approvazione ecclesiastica. Nihil Obstat. 1 ottobre 1910. Remy Lafort, censore. Imprimatur. +John M. Farley, Arcivescovo di New York.
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