Le avanguardie storiche hanno dato fuoco alla storia dell’arte del primo Novecento. La critica performativa di RoseLee Goldberg collega chiaramente gli esperimenti di Futurismo, Costruttivismo, Dada, Bauhaus e poi Surrealismo all’origine della storia della Performance Art nel XX secolo. In questo articolo riprendo una breve storia della Performance Art.
La nascita della Performance Art
Nel corso del secolo scorso il corpo dell’artista e la sua azione acquistano un ruolo centrale nella pratica dell’arte dal vivo, trovando gradualmente un proprio vocabolario nel termine performance. La relazione dal vivo tra l’artista, le arti performative e il pubblico, così come le istituzioni che ospitano l’azione, non è una novità nella storia dell’arte, ma può essere fatta risalire alle storie intorno al fuoco dei nostri antenati, attraverso i rapsodi e il teatro greco, attraverso i giochi medievali, il teatro rinascimentale e barocco, l’Opera, fino agli eventi futuristi e i cabaret dada. Nel ventesimo secolo il performer non rappresenta più i miti degli dei, una maschera o un personaggio, ma è l’artista e la performance stabilisce la sua presenza all’interno della società.
Per Goldberg, la performance per sua natura sfugge a una definizione precisa se non la semplice descrizione che ne dà nel suo saggio: “arte dal vivo degli artisti”. Per Marina Abramovic, la performance si distingue dalla rappresentazione tipicamente teatrale: “l’unico teatro che faccio è il mio, la mia vita è l’unica che posso recitare”. Ma per l’artista stessa questa affermazione non implica che la performance rifiuti il teatro come spazio per le proprie azioni, al contrario, RoseLee Goldberg sottolinea come essa abbia influenzato il rinnovamento del linguaggio teatrale stesso. Per la critica di origine sudafricana, la performance tende ad essere un’espressione visiva che non richiede traduzione e si concentra sul corpo; utilizza le tecnologie più attuali, ha una vocazione per i gesti effimeri e universali, ha una durata breve o molto lunga e costruisce iconografie molto complesse, che vanno dalla critica sociale ai riti antichi, da elementi autobiografici alla critica metartistica.
Performance Art: from Futurists to Black Mountain College
Goldberg pubblicò uno dei primi studi sulla storia della performance art nel 1979, quando il resto della critica d’arte aveva cominciato a riconoscere la performance non come un’espressione artistica intermittente, ma come un’espressione tangibile dei riflessi dell’arte concettuale. Nel suo saggio rintraccia le radici della storia della performance nel XX secolo fino ai circoli in cui gli artisti d’avanguardia sperimentavano le idee dei loro manifesti prima di creare le loro espressioni visive attraverso la pittura o la scultura, come il Cabaret Voltaire di Zurigo. Il fervore del Futurismo dovrebbe, quindi, essere la prima scintilla della performance del XX secolo, passando dall’Europa agli Stati Uniti attraverso artisti che cercano riparo dalla guerra.
Dagli anni ’40, al Black Mountain College, John Cage e Merce Cunnigham indagano le nozioni di caso e indeterminazione, creando musica non intenzionale e una nuova pratica di danza, simpatizzando con la filosofia Zen orientale ed elaborando le loro riflessioni sugli albori della performance. “L’arte non dovrebbe essere distinta dalla vita, ma dovrebbe essere un’azione all’interno di essa. Come tutto ciò che accade nel suo corso, con i suoi incidenti accidentali, la sua complessità, il suo disordine e i suoi rari momenti di bellezza” riflette Cage, che nel 1952 presentò il suo famoso 4’33”, senza produrre alcun suono al pianoforte e lasciando che il pubblico ascoltasse i rumori prodotti dall’ambiente. In riferimento a questo evento, Cage afferma “il mio pezzo preferito è quello che ascolto sempre intorno a me quando tutto è calmo”.
La grande stagione della Performance Art tra gli anni ’50 e ’60
Negli anni ’50 le lezioni di John Cage furono frequentate, tra gli altri artisti, da Allan Kaprow, George Brecht, Dick Higgins, George Segal, Jim Dine, Claes Oldernburg e Robert Rauchenberg. Nel 1959 Kaprow diede vita ai 18 Happenings in 6 Parts, che probabilmente avrebbero ispirato le varie azioni del gruppo di artisti etichettati con il nome Fluxus dal critico George Macunias nei primi anni sessanta e non solo negli Stati Uniti. Nel 1954 in Giappone il gruppo Gutai realizzò una serie di azioni i cui artisti sfondavano le tele e dipingevano direttamente con il corpo; tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta in Europa anche Yves Klein e Piero Manzoni proposero azioni con lo scopo di impedire che l’arte fosse relegata nelle gallerie o nei musei, i membri dell’Azionismo viennese realizzarono le loro sanguinose performance e anche altri artisti come Jackson Pollok e Nam June Paik sperimentarono l’azione del corpo nelle loro rispettive pratiche artistiche. Inoltre, le azioni di questi anni non furono eseguite solo da artisti maschi: oltre ad Atsuko Tanaka del gruppo Gutai, nel 1961 Niki de Saint-Phalle presentò i suoi dipinti con colpi di pistola, nel 1963 Carolee Schneeman eseguì la famosa azione Eye Body e l’anno successivo Meat Joy, nel 1965 Shigeko Kubota si esibì con Vagina Painting a New York, stabilendo immediatamente la presenza delle donne nella pratica performativa.
I movimenti studenteschi del 1968 segnarono l’arrivo degli anni ’70, che portarono al definitivo riconoscimento della performance all’interno della storia dell’arte.
In questi anni il corpo e la presenza dell’artista, insieme all’esperienza dell’arte in contemporanea con il pubblico, assunsero un ruolo centrale per la performance e alcuni artisti si dedicarono completamente alla performance. Anche le azioni di questi performer erano molto diverse: potevano essere brevi o lunghe; potevano essere intime, o agire su larga scala; potevano essere programmate o improvvisate; potevano essere autobiografiche o scioccanti, esoteriche o satiriche; potevano trattare di critica sociale, parlare di gruppi emarginati, di diversità, o dell’arte stessa, del rapporto con il suo mercato e del rapporto tra artista e pubblico.
L’arte performativa tra XX e XXI secolo
La performance è, dunque, un’espressione artistica complessa, che fatica a riconoscersi in una definizione più ampia di quella fornita da Goldberg. La mia ricerca considera la performance del XX secolo come un’esperienza in cui il performer è l’artista che stabilisce la sua presenza nella società. Per i critici della performance, quando all’inizio del XXI secolo il museo diventa anche un luogo di intrattenimento, la performance diventa un’occasione per un incontro diretto con l’artista e un’opportunità di conversazione sul ruolo dell’arte nel mondo. Alla fine del primo decennio del nostro secolo, la mostra del 2009 al MoMA 100 Years of Performance Art mostra su un centinaio di monitor la storia della Performance Art dal Manifesto Futurista del 1909, testimoniando il ruolo della performance nella storia dell’arte del secolo precedente, e la performance retrospettiva del 2010 di Marina Abramovic The Artist Is Present nello stesso museo conferma la centralità della presenza dell’artista nell’arte contemporanea. Una presenza sempre complessa nel suo rapporto con il pubblico, le istituzioni e il suo mercato.
Avvicinandosi agli anni Venti, la performance continua ad essere un’espressione utilizzata dagli artisti per indagare le complesse relazioni tra la pratica artistica, chi ne è coinvolto e la vita quotidiana, affrontando questioni centrali nel dibattito internazionale attraverso azioni che continuano ad essere anticonvenzionali e anarchiche. La costante attenzione sociale della performance sembra mantenere viva la ricerca sul rapporto tra pratica artistica e vita quotidiana.
Thornton S., 33 artisti in 3 atti, Feltrinelli, 2015.
Il Cabaret Voltaire dal 5 febbraio 1916 iniziò a ospitare le poesie e gli interventi di alcuni dei più influenti artisti dell’epoca come Kandinsky, Lichtenstein, Arp e Tzara.
Cage J, Notations, New York, 1969.
Kaprow A., Assemblage, Environments & Happenings, New York, 1966.
Jones A., Body Art: Performing the Subject, Minnesota University Press, 1998.
Fu proprio durante gli anni ’70 che alcuni artisti iniziarono a dedicarsi metodicamente alla performance art, tra questi: Marina Abramovic, Bruce Nauman, Gina Pane, Gilbert&George, Vito Acconci, Joan Jonas, Chris Burden e Ana Mendieta.
Goldberg R., The First Decade of the New Century 2001 to 2010, in Performance Art. From Futurism to Present, Thames&Hudson, edizione 2011.
MOMA, Marina Abramovic: The Artist is Present, Exh.Cat. 2010.