Pittman, un veterano del Tampa Bay Times la cui bona fides floridiana risale al 1850, scrive che il libro è nato da una serie di incarichi su Slate che raccontavano l’assurdità endemica dello stato, storie che a loro volta erano ispirate dalla litania di link #Florida che postava su Twitter. Pittman riprende questo ruolo curatoriale e cicerone in “Oh, Florida!”, dove mira ad essere “un incrocio tra Rod Serling con gli occhi a mandorla e uno di quei capitani di barca ubriachi di chiacchiere sulla Jungle Cruise della Disney”, conducendoci sempre più in profondità nel pantano risucchiante dello stato di avidità, chicanería e ironia straziante.
E in profondità andiamo. Pittman ci guida attraverso 18 capitoli di storia naturale, economica, politica, sociale e personale, ognuno accuratamente riportato e ricercato. Questi capitoli sono disposti in un compulsivamente leggibile, una visione di vita di uno stato che lui ovviamente ama da morire. Abbiamo vignette sullo straordinario meteorologo Grady Norton e la fondazione del National Hurricane Center; Dickie Bolles e la sua grande truffa fondiaria; William Cottrell, “l’unico sindaco americano mai deposto da un colpo di stato militare”. Sentiamo parlare di quando Ralph Waldo Emerson visitò Tallahassee, dopo di che la giudicò immediatamente (e correttamente) “un posto grottesco”. Ci viene offerto un mini-profilo dell’amata sedia elettrica della Florida, Old Sparky. Se Pittman avesse scritto questo libro un anno dopo, avremmo sicuramente assistito alla tragedia del Pulse nightclub di Orlando; invece, si addentra nei vergognosi massacri razzisti di Ocoee e Rosewood negli anni ’20.
Pittman rintraccia molti fenomeni nazionali alle loro radici in Florida. La prima legge “stand your ground” fu promossa da Marion Hammer, un ex presidente della N.R.A. che si batté anche contro l’adozione della ghiandaia amichevole come uccello di stato. (“Mendicare il cibo non è dolce”, sosteneva, “è una mentalità da welfare”). Billy Graham ha iniziato predicando agli alligatori lungo le rive del fiume Hillsborough. Anita Bryant, a cui Pittman si riferisce come “il Bull Connor dei diritti dei gay”, era in precedenza il rappresentante di succo di frutta di Big Orange.
Intervallati se non proprio infilati in tutte queste meravigliose chicche sono i ricordi e i pronunciamenti di Pittman in Florida. Questi frammenti possono essere acuti. Possono anche cadere nel tipo di battuta avventurosa che è tanto accattivante quanto inducente. Dopo un aneddoto sugli alligatori che attaccano i fuggitivi, Pittman ridacchia: “A proposito di dare un morso al crimine!”
Ma questa è una lamentela minore. Pittman, che lavora al Tampa Bay Times dal 1989, è un museo ambulante, il tipo di giornalista ironico la cui profonda conoscenza dei luoghi era indispensabile per i maggiori quotidiani americani. Per quanto il suo libro sia una celebrazione della Florida, è anche una celebrazione del giornalismo. (La Florida, dopo tutto, è il creatore della “legge del sole” che molti altri stati hanno copiato). E i professionisti come Pittman sono in via di estinzione come la Floridiana che un tempo fiancheggiava i bordi delle strade.