Qual è la vera utilità pratica di un libro di rottura? Quando finisce una relazione importante si immagina di essere in una situazione del tutto singolare, che nessun altro ha sopportato esattamente la situazione squisitamente dolorosa in cui ci si trova attualmente. Credi intuitivamente che i tuoi sentimenti siano unici, sui generis, ma è in qualche modo rassicurante o edificante inciampare nella prova che non lo sono. Il piacere di ascoltare certe canzoni o di leggere certi libri è che, dopo un periodo obbligatorio e utile di isolamento disorientante, ti riaccolgono nel cerchio umano. È stranamente rassicurante vedere che non si è unici, cioè soli, che questa stessa tragedia è capitata ad altre persone, che sono misteriosamente sopravvissute. (Come disse Shakespeare: “Gli uomini sono morti di tanto in tanto, e i vermi li hanno mangiati, ma non per amore”).
Quella che segue è la mia lista dei tre migliori libri di rottura di tutti i tempi:
In Love di Alfred Hayes
La New York Review of Books sta ripubblicando questo capolavoro perduto della letteratura di rottura, originariamente pubblicato nel 1953, e quando mi sono imbattuto in esso, ho pensato tra me e me: “Come ho fatto ad arrivare così lontano nella vita senza leggere questo libro? Un uomo che l’ha letto mi ha detto: “È fantastico, vero? Non uscirò mai più con qualcuno”. Entrambe mi sembrano risposte del tutto ragionevoli a In Love. È un romanzo spietatamente osservante, con frasi di grande effetto. (È impossibile non essere sedotti da passaggi come: “L’unica cosa che non abbiamo perso, ho pensato, è la capacità di soffrire. Siamo bravi a soffrire. Ma è una sofferenza così silenziosa. Non disturbiamo mai i vicini con essa. Crolliamo, ma crolliamo nel modo più disciplinato. Questo siamo noi. Siamo certamente noi. I collassatori disciplinati”).
Tutto il libro è il lunatico monologo di un uomo seduto al bar che racconta a una donna una livida vicenda che lo ha perseguitato. (Una delle cose intelligenti ed eleganti è che l’elegia per la relazione perduta è anche il preambolo per una nuova relazione; è sia un feroce atto d’accusa contro l’amore che la chiacchierata con una bella donna). Nella relazione che ossessiona l’uomo, egli è stato evasivo, disimpegnato, ironico. Ma quando la donna in questione scappa con un uomo ricco e lo sposa, lui è perso: “Stava diventando doloroso pensare. Sembrava che dentro di me ci fossero intere zone a cui dovevo stare attento. Sentivo la mia mente, come una zampa, allontanarsi da certi ricordi taglienti. Contenevo, evidentemente, un certo numero di idee ferite”.
La descrizione di Hayes di un viaggio fallito dei due amanti sulla Jersey Shore è una delle più grandi scene di alienazione romantica mai scritte. Egli individua il disperato desiderio di amore e il riconoscimento che sta scivolando via con magnifica precisione: È uno degli stati più confusi che due persone possano incontrare, e vederlo reso in parole è raro e bello.
Anni luce di James Salter
In questo libro dolorosamente bello, Salter riesce in qualche modo a catturare il rigoglio di un matrimonio fiorente e il suo simultaneo declino. (“La vita è tempo. La vita è pasti. Pranzi su un panno blu a quadretti su cui si è versato il sale. L’odore del tabacco. Brie, mele gialle, coltelli di legno”). Egli evoca la bellezza della vita quotidiana, i ritmi dell’amore, di una familiarità consumata e confortevole insieme con l’inquietudine senza parole, i malumori crescenti. (” … e legge loro, come fa ogni sera, come se li innaffiasse, come se girasse la terra ai loro piedi”). In qualche modo vediamo in questo ritratto elaborato e complesso della vita domestica sia la grandezza e la possibilità trascendente della famiglia, sia la sua cocente insufficienza, il che è una sorprendente, quasi impossibile impresa letteraria. Il libro, in definitiva, parla di come la felicità e l’inquietudine si scontrino, delle estremità intrecciate agli inizi, degli impercettibili cambiamenti del cuore, delle elegie nascenti incorporate nei nostri momenti più caldi, più sicuri e più felici. Se la vera domanda a cui vogliamo rispondere nei romanzi di rottura è come un amore vivido e pressante svanisce, questo libro si avvicina più di ogni altro che abbia mai letto a rispondere.
The End of the Affair di Graham Greene
In questo classico del genere, Greene cattura lo stato d’animo di naturale cattiveria che si verifica dopo l’amore: “Questo è un disco di odio molto più che di amore”, scrive. Il suo protagonista, Bendrix, non ha paura di esprimere la sua rabbia sfrenata per la sua ex fiamma: “Niente mi avrebbe fatto più piacere che sentire che era malata, infelice, morente”.
Il romanzo, come tutti quelli di Greene, mescola una storia perfettamente costruita con una riflessione esistenziale. La sua amante scrive nel suo diario: “A volte, dopo una giornata in cui abbiamo fatto l’amore molte volte, mi chiedo se non sia possibile arrivare alla fine del sesso, e so che anche lui se lo sta chiedendo e ha paura di quel punto in cui inizia il deserto. Cosa si fa nel deserto se ci si perde? Come si continua a vivere dopo?”.
Qui come altrove, Greene prende come soggetto i misteri del coinvolgimento sessuale: “L’atto sessuale può essere niente, ma quando si arriva alla mia età si impara che in qualsiasi momento può rivelarsi tutto”.
Altra grande letteratura di rottura, se ce ne fosse bisogno, sarebbe quella di alcuni racconti di Licks of Love di John Updike, Independence Day di Richard Ford, alcune poesie di Robert Lowell e il primo capitolo, incredibilmente ironico, di The Company She Keeps di Mary McCarthy.