Economia
Prima degli anni ’60 l’economia thailandese era basata principalmente sulla produzione di riso e altri alimenti e beni per il consumo interno e di riso, gomma, tek e stagno per l’esportazione. Il governo ha poi iniziato a promuovere uno spostamento dall’agricoltura alla produzione di tessuti, beni di consumo e, infine, componenti elettronici per l’esportazione. Negli anni ’80 la Thailandia aveva intrapreso un solido percorso di industrializzazione; anche la crisi economica della fine del XX secolo ha solo rallentato, ma non fermato, questa trasformazione economica.
Dal 1963 al 1997 l’economia thailandese è stata una delle più veloci del mondo. L’adozione del primo piano di sviluppo nazionale nel 1963 ha stimolato il passaggio dall’agricoltura all’industria. Durante gli anni ’80 e ’90 sono emerse numerose industrie orientate all’esportazione, soprattutto nelle aree circostanti Bangkok. La migrazione su larga scala di giovani donne e uomini dalle comunità rurali alla grande area di Bangkok ha drenato manodopera dalle campagne. Coloro che continuavano a dedicarsi all’agricoltura si rivolsero sempre più alle macchine per sopperire alla carenza di manodopera, determinando un cambiamento nell’economia rurale da un’agricoltura di sussistenza a una orientata al mercato. La maggior parte degli investimenti in nuove tecnologie nel settore agricolo proveniva dai risparmi dei membri della famiglia che erano andati a lavorare nelle città.
I complessi idroelettrici necessari per sostenere la crescita dell’economia industriale hanno allontanato migliaia di abitanti dalle loro case e dai loro campi, inondato vaste aree di foresta, trasformato i modelli di inondazione e ridotto la fornitura di pesce, da cui molti dipendono per il loro sostentamento. Negli anni ’80 gli abitanti dei villaggi stavano organizzando dimostrazioni di massa per protestare contro l’inadeguato risarcimento dato agli sfollati; a loro si sono uniti ambientalisti e attivisti sociali mobilitati dall’impatto negativo di questi progetti. Altre grandi proteste sono state organizzate contro le politiche governative che promuovono lo sfruttamento commerciale delle foreste. Queste proteste, insieme alle crescenti preoccupazioni della classe media per l’ambiente, hanno spronato i governi della fine del XX e dell’inizio del XXI secolo a intraprendere progetti con una maggiore sensibilità alle questioni ambientali rispetto a quanto mostrato dai governi precedenti.
Le industrie orientate all’esportazione e le istituzioni finanziarie, specialmente quelle create negli anni ’80 e ’90, hanno fatto molto affidamento sul capitale straniero, rendendo l’economia thailandese più vulnerabile ai cambiamenti delle condizioni economiche globali. Nel 1997 un improvviso e rapido declino del valore della valuta tailandese, il baht, ha innescato una crisi finanziaria che si è rapidamente diffusa in altri paesi asiatici. La crisi non solo ha esposto l’eccessiva dipendenza della Thailandia dal capitale straniero, ma ha anche focalizzato l’attenzione sulle conseguenze dello sviluppo ineguale e sulle debolezze in diversi settori dell’economia. All’inizio del XXI secolo, l’economia aveva cominciato a riprendersi, ma la crisi economica e l’emergere di un ordine politico più democratico fecero sì che le politiche economiche diventassero oggetto di un intenso dibattito pubblico. Un colpo di stato nel settembre 2006 ha riacceso le incertezze sul futuro dell’economia thailandese. Mentre annunciava, revocava e successivamente reimponeva varie restrizioni agli investimenti stranieri, il governo provvisorio ha promosso la filosofia del re dell'”economia della sufficienza”, un ideale che enfatizzava l’autosufficienza e la moderazione nei consumi, senza rifiutare gli investimenti capitalistici.