Dibattendo l’indipendenza americana
Nessuno poteva prevedere il rapido deterioramento delle relazioni britannico-americane innescato dallo Stamp Act nel 1765, quando le preoccupazioni locali cedettero finalmente il passo a problemi più grandi. Mentre Benjamin Franklin all’inizio non vide nulla di male nella carta bollata, Dickinson intuì le temute implicazioni che portava con sé. Come delegato al Congresso dello Stamp Act, incontrò i leader dei partiti antiparlamentari attivi di altre colonie. La sua “Dichiarazione dei diritti e dei privilegi” adottata dal Congresso denunciava le tasse votate in Inghilterra e raccolte in America. Regolamentare il commercio era una cosa, ma imporre tasse colpiva l’arteria principale del governo coloniale. Dickinson scrisse diversi pamphlet che suggerivano che l’Inghilterra avrebbe, se necessario, dissanguato le colonie fino all’obbedienza. In comune con James Otis, il più importante pamphleter dell’epoca, Dickinson sostenne che “le massime immutabili della ragione e della giustizia” sostenevano il malcontento americano.
L’abrogazione dello Stamp Act allentò temporaneamente le tensioni, ma i Townshend Acts del 1767 diedero a Dickinson una nuova opportunità di servire come portavoce moderato. Nel vortice del malcontento americano, le Lettere di un agricoltore della Pennsylvania di Dickinson capitalizzarono le mutevoli basi di discussione. I nuovi dazi erano contrari alla legge naturale, sosteneva, e chiaramente incostituzionali. Dickinson negava il sofisma che sosteneva che ci fossero dazi interni ed esterni e che il Parlamento potesse legalmente emanare solo questi ultimi. Prelevare tasse, sosteneva, era la preziosa prerogativa delle sole assemblee coloniali, ma il Parlamento poteva emanare dazi regolatori sul commercio. Dickinson insisteva che lo scopo dei controlli britannici più stretti era quello di mantenere gli americani obbedienti piuttosto che felici. Ampiamente pubblicate sui giornali e come pamphlet, le sue Lettere (come disse Franklin) riecheggiavano “i sentimenti generali” dei coloni. Il tono non era né umile né bellicoso.
Dickinson cercò di svegliare i letargici commercianti di Filadelfia in una posizione più attiva e corrispose con James Otis e altri leader della resistenza. Nel 1770 fu eletto all’Assemblea della Pennsylvania. Lo stesso anno sposò Mary Norris. Nel contraccolpo del Boston Tea Party, i filadelfesi discussero sia il loro ruolo nell’aiutare una città sorella che la loro posizione nella discussione imperiale. Dickinson contribuì a chiarire le cose nel suo pamphlet An Essay on the Constitutional Power of Great Britain, che concedeva al Parlamento il potere di regolare il commercio estero ma poco altro nella vita americana. Nel Primo Congresso Continentale redasse sia il convincente “Discorso agli abitanti del Quebec”, un riassunto dei diritti degli americani, sia la petizione a Giorgio III per chiedere la riconciliazione.
L’atteggiamento di Dickinson caratterizzò il Secondo Congresso Continentale, che John Adams vide come se avesse “la spada in una mano e il ramo d’ulivo nell’altra”. La petizione “Ramo d’ulivo” di Dickinson al re fu un fiasco. Ignorandola, Giorgio III sbatté la porta agli americani moderati e mise Dickinson in una posizione difficile.