Nel Dispatches from The Secret Library di questa settimana, il dottor Oliver Tearle considera la storia e il significato originale di una parola ormai onnipresente
Ecco una domanda da pub quiz per te: in quale secolo le parole ‘computer’ ed ‘elettricità’ furono usate per la prima volta nella scrittura inglese? Il ventesimo? ‘Computer’ potrebbe portarci a questa risposta, ma poi riflettiamo sull’importante lavoro di Michael Faraday sull’elettricità nel secolo precedente. E Charles Babbage non ha ideato un precursore del computer moderno nel suo Difference Engine, nel diciannovesimo secolo? Forse è questa la risposta. Ma no: entrambe le parole fanno il loro debutto negli annali della letteratura inglese nel XVII secolo. Ed è stato un uomo che ha contribuito a renderle popolari entrambe. Ma le origini del termine ‘computer’, in particolare, sono degne di commento. La parola deriva ovviamente dal verbo ‘computare’, che è dal latino per ‘fare i conti con’ (dal prefisso com- e dal verbo putāre che significa fare i conti). Ma che dire del significato della parola ‘computer’?
Prima di tutto, per affrontare il significato più recente e più familiare della parola ‘computer’: la parola è arrivata a significare un dispositivo elettronico utilizzato per memorizzare e comunicare informazioni (e tutte le sue funzioni successive) solo negli anni ’40: la prima citazione nell’Oxford English Dictionary è del 1946. Questo è appropriato. Come è noto ora (o almeno più noto che nei decenni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale), il lavoro di Alan Turing e di altri decifratori di codici a Bletchley Park – dove Turing costruì il suo primo enorme computer, il Colossus – contribuì ad accorciare la guerra di diversi anni. Ma dopo la fine della guerra, l’America cominciò a sviluppare il computer per uso commerciale, e la Gran Bretagna mise a tacere il suo ruolo nell’inventare la macchina moderna. Turing, vergognosamente, non fu mai onorato durante la sua vita, e la sua tragica fine (morire di avvelenamento da stricnina mangiando una mela avvelenata, dopo essere stato costretto a subire la castrazione chimica per la sua omosessualità) gli impedì di ottenere il riconoscimento che meritava. (La voce che il logo dei computer Apple – una mela a cui è stato tolto un morso – fosse una deliberata allusione alla morte di Turing è, a proposito, falsa).
Ma i ‘computer’ erano in circolazione da secoli – o, almeno, lo era la parola ‘computer’. E uno dei suoi primi usi in inglese fu nell’opera di un importante scrittore di prosa del XVII secolo, Sir Thomas Browne. È nell’opera di Browne che troviamo anche le prime (e in molti casi, le prime) istanze di parole come ambidestro, approssimativo, botanico, carnivoro, coma, complicato, crittografia, discriminazione, elettricità, ascensore, feroce, allucinazione, indigeno, insicurezza, medico, prateria, prefisso, selezione, e molte, molte altre. Ho bloggato precedentemente su Browne e la sua notevole lista di neologismi qui.
Browne nacque a Cheapside a Londra nel 1605 e morì nel 1682, al suo 77° compleanno. Scrisse su vari argomenti riguardanti il mondo naturale, e questo sarebbe stato il soggetto della sua opera più ambiziosa, Pseudodoxia Epidemica, che fu pubblicata nel 1646, anche se fu così popolare che passò attraverso molte altre edizioni durante la vita di Browne. Il titolo completo di questo libro era Pseudodoxia Epidemica o Enquiries into very many received tenets and commonly presumed truths, anche se a volte è conosciuto semplicemente come Vulgar Errors. Il suo scopo era quello di esaminare le superstizioni e le credenze ampiamente diffuse all’epoca, e di correggere quelle che erano false; in molti modi, Browne, una macchina di debunking di un solo uomo, era la versione moderna del programma televisivo QI.
Il contesto dell’uso che Browne fa della parola ‘computer’, in Pseudodoxia Epidemica, era una considerazione sulla differenza di date tra il calendario giuliano e quello gregoriano. Quando Browne stava scrivendo negli anni 1640, la Gran Bretagna era indietro rispetto a gran parte dell’Europa nel seguire ancora il vecchio calendario giuliano, mentre numerosi paesi del continente avevano già adottato il gregoriano (cosa che la Gran Bretagna non avrebbe fatto fino al 1752). Browne scrive:
Ora è evidente, e la maggior parte degli uomini lo sa, che i calendari di questi computer, e i conti di questi giorni sono molto diversi: i Greci dissentono dai Latini, e i Latini gli uni dagli altri: gli uni osservando il giuliano o conto antico, come la Gran Bretagna e parte della Germania; gli altri aderendo al gregoriano o nuovo conto, come Italia, Francia, Spagna, e le Province Unite dei Paesi Bassi.
Il contesto dell’uso che Browne fa della parola rende chiaro che la parola ‘computer’ è qui usata per riferirsi a qualcuno che fa un calcolo, specificamente sulle date. E questo è il primo significato conosciuto del termine ‘computer’, un senso che l’OED ora classifica come ‘principalmente storico’: ‘Una persona che fa calcoli o computazioni; un calcolatore, un calcolatore; spec. una persona impiegata per fare calcoli in un osservatorio, nel rilevamento, etc.’
Ma Sir Thomas Browne non ha coniato la parola ‘computer’. Se qualcuno dovrebbe avere il merito di averlo fatto, e anche qui dovremmo tenere a mente il solito avvertimento (che il ‘primo uso conosciuto’ di una parola non equivale necessariamente alla coniazione effettiva di tale parola), allora è un uomo chiamato Richard Brathwaite (1588-1673), un poeta inglese che ha pubblicato un libro del 1613 chiamato Yong Mans Gleanings. È in questo libro che troviamo il primo uso registrato del termine “computer”; come l’uso di “lui” da parte di Brathwaite chiarisce, egli si riferiva anche non a un dispositivo o a una macchina per contare, ma a una persona che fa il calcolo.
Ho letto il più vero computer dei tempi, e il miglior aritmetico che sia mai esistito, ed egli riduce i tuoi giorni in un numero breve: I giorni dell’uomo sono sessanta e dieci.
Oliver Tearle è autore di The Secret Library: A Book-Lovers’ Journey Through Curiosities of History, disponibile ora da Michael O’Mara Books.