Queste due enigmatiche parole pronunciate dal Robot di Lost in Space di Netflix racchiudono il tema della sua seconda stagione. La prima stagione ruota intorno all’esplorazione e alla protezione della nuova amicizia che Will e il Robot stringono dopo essere rimasti misteriosamente bloccati su un pianeta alieno. Rilasciata su Netflix poco prima dell’inizio del 2020, la stagione 2 mostra i due amici che si ritrovano dopo essere stati separati alla fine della stagione precedente.
L’amicizia, e l’insegnamento agli altri della vera natura dell’amicizia stessa, è al centro della serie. Una frase comune pronunciata da diversi personaggi mentre l’ultima stagione raggiunge il suo culmine è: “Non è questo che fanno gli amici”. Colleghi, genitori e figli, e coppie sposate lottano con questo problema in ognuno dei venti episodi finora prodotti.
Il cuore dello show, tuttavia, è l’affascinante legame tra l’adolescente Will e il suo gigantesco Robot alieno, come sottolinea Paul Tassi per Forbes:
La seconda stagione si immerge nella razza dei robot che è composta principalmente da macchine assassine, piuttosto che dal “simpatico robot” che è amico di Will Robinson, ed è una delle storyline più avvincenti della serie mentre continua a crescere ed evolversi adottando emozioni e affetto di tipo umano per altri esseri viventi.
Mia moglie si lamenta ancora che al Robot non è stato dato un nome! Ahimè – si chiama semplicemente Il Robot. Ciononostante, si è ancora fatto apprezzare dai fan di entrambi gli emisferi.
Il legame di Will con la macchina monosillabica nel racconto mi fa venire in mente questo pensiero: Si può essere amici di un’intelligenza artificiale?
Prima di poter affrontare l’intrigante concetto di amicizia dell’IA, dobbiamo definire l’intelligenza artificiale. Chiedete a un gruppo di scienziati la definizione di intelligenza artificiale, e otterrete una pletora di risposte. Una persona media sarà ancora meno precisa, con il significato normale qualcosa di simile a “una macchina che pensa” o “un computer che si comporta da umano”, ed esempi che vanno da Siri a Optimus Prime.
Questi non sono di grande aiuto.
Il famoso pioniere dell’informatica Alan Turing propose un modo per scoprire l’IA, noto ora come il Test di Turing: se un computer può rispondere a domande abbastanza convincenti da indurre una persona a pensare che sia anche un umano, allora è intelligente. Oggi, con l’ascesa dei chatbot e degli assistenti virtuali, questo test pone l’asticella troppo bassa per l’intelligenza reale.