Quando si predice qualcosa che la scienza non farà mai, è saggio ricordare il filosofo francese Auguste Comte. Nel 1835 affermò che la scienza non capirà mai di cosa sono fatte le stelle. Sembrava una scommessa sicura, ma nel giro di decenni gli astronomi cominciarono a determinare la composizione chimica del Sole e di altre stelle analizzando lo spettro della luce che emettevano.
Io nondimeno mi arrischio a ipotizzare che la scienza non risponderà mai e poi mai a quella che io chiamo “La Domanda”: Perché c’è qualcosa piuttosto che niente? Si potrebbe pensare che questa previsione sia sicura fino alla banalità, ma alcuni eminenti scienziati stanno sostenendo non solo di poter rispondere alla Domanda, ma di averlo già fatto. Il fisico Lawrence Krauss spaccia questo messaggio nel suo nuovo libro A Universe From Nothing: Why There Is Something Rather Than Nothing (Free Press, 2012).
La risposta di Krauss non è nuova. Decenni fa, fisici come il leggendario John Wheeler hanno proposto che, secondo i dettami probabilistici della teoria quantistica dei campi, anche un vuoto apparentemente perfetto pullula di particelle e antiparticelle che entrano ed escono dall’esistenza. Nel 1990, il fisico russo Andrei Linde mi assicurò che il nostro intero cosmo – così come un numero infinito di altri universi – potrebbe essere scaturito da una “fluttuazione quantistica” primordiale. Ma Krauss ci chiede di prendere sul serio la teoria quantistica della creazione, e lo stesso fa il biologo evoluzionista Richard Dawkins. Anche l’ultimo asso nella manica del teologo, “Perché c’è qualcosa piuttosto che niente?”, si raggrinzisce davanti ai vostri occhi mentre leggete queste pagine”, scrive Dawkins in una postfazione al libro di Krauss. “Se L’origine delle specie è stato il colpo più mortale della biologia al soprannaturalismo, potremmo arrivare a vedere Un universo dal nulla come l’equivalente della cosmologia.”
Whaaaa…?! Dawkins sta paragonando il trattato scientifico più profondo e duraturo della storia a un libro di pop-science che ricicla un mucchio di idee stantie della fisica e della cosmologia. Questa assurda iperbole dice meno sui meriti del libro derivato di Krauss che sull’intensità dell’odio di Dawkins per la religione che impedisce di giudicare.
Il filosofo David Albert, uno specialista della teoria dei quanti, offre una valutazione più equilibrata del libro di Krauss sul New York Times Book Review. E per valutazione equilibrata, intendo un’impietosa stroncatura. Albert chiede: “Da dove, per cominciare, si suppone che le stesse leggi della meccanica quantistica siano venute? Le moderne teorie quantistiche dei campi, sottolinea Albert, “non hanno nulla da dire sull’origine di quei campi, o sul perché il mondo dovrebbe essere costituito da particolari tipi di campi, o sul perché dovrebbe essere costituito da campi, o sul perché ci dovrebbe essere un mondo in primo luogo. Punto. Caso chiuso. Fine della storia.”
Se volete un’esplorazione più soddisfacente della Domanda, date un’occhiata a Perché esiste il mondo? dello scrittore di scienza e filosofia Jim Holt, che sarà pubblicato quest’estate da W.W. Norton. Holt non è né sciocco né arrogante abbastanza da affermare che lui o chiunque altro abbia risposto alla Domanda. Piuttosto, riflette e parla della Domanda non solo con fisici, in particolare Linde, Steven Weinberg e David Deutsch, ma anche con filosofi, teologi e altri non scienziati. E perché no? Quando si tratta della Domanda, tutti e nessuno sono esperti, perché la Domanda è diversa nel suo genere da qualsiasi altra domanda posta dalla scienza. Ludwig Wittgenstein stava cercando di fare questo punto quando scrisse, in modo tipicamente criptico, “Non come il mondo è, è il mistico, ma che è.”
Nella mia sezione preferita del libro di Holt, chiacchiera con il romanziere John Updike, il cui lavoro ha esplorato il nostro desiderio di appagamento spirituale e sessuale. Updike era orgoglioso di tenersi al passo con le ultime idee scientifiche, e uno dei suoi romanzi, La versione di Roger (Random House, 1986), presenta personaggi che discutono se la scienza può sostituire la religione come fonte di risposte definitive. Updike disse a Holt che dubitava che la scienza potesse mai produrre una risposta soddisfacente alla Domanda. La scienza, disse Updike, “aspira, come faceva la teologia, a spiegare assolutamente tutto. Ma come si può attraversare questo enorme abisso tra il nulla e qualcosa?”
La teoria dell’inflazione, ha notato Updike, che Linde e altri teorici hanno promosso come una teoria della creazione cosmica, “sembra una specie di proposta con un sorriso e un lustrascarpe”. Updike, che è morto nel 2009, un anno dopo che Holt lo ha intervistato, ha giocato con l’idea che, se c’è un Dio, ha creato il mondo per noia. Trent’anni fa, ho avuto un’esperienza, diciamo così, che mi ha lasciato a riflettere su una spiegazione teologica leggermente diversa della creazione: Se c’è un Dio, ha creato questo mondo straziante perché soffriva di una crisi d’identità cosmica, scatenata dal suo stesso confronto con La Domanda. In altre parole, Dio è mistificato quanto noi dall’esistenza. Questa idea, che ho divulgato in The End of Science (Addison Wesley, 1996) e Rational Mysticism (Houghton Mifflin, 2003), è totalmente stravagante, naturalmente, ma non più, a mio avviso, della pretesa assurda di Krauss e altri scienziati di aver risolto l’enigma dell’esistenza.
La scienza ci ha detto così tanto sul nostro mondo! Ora capiamo, più o meno, di cosa è fatta la realtà e quali forze spingono e tirano avanti e indietro la materia dell’esistenza. Gli scienziati hanno anche costruito una narrazione plausibile, empiricamente fondata, della storia del cosmo e della vita sulla Terra. Ma quando gli scienziati insistono nel dire che hanno risolto, o risolveranno presto, tutti i misteri, incluso il più grande mistero di tutti, fanno un cattivo servizio alla scienza; diventano le immagini speculari dei fondamentalisti religiosi che disprezzano. Comte aveva torto sul modo in cui la scienza è limitata, ma non sul fatto che sia limitata.